COVID-19 PER LA PEDIATRIA LAVORO RIDOTTO
Intervista alla dott.ssa Laura Ghiro direttore U.O.C. di Pediatria Ulss 7 – Ospedale di Bassano Del Grappa
di Angelica Montagna
Dottoressa, tempo di Coronavirus, con che emergenze è stato affrontato questo particolare momento?
Devo dire che rispetto ad altri reparti, lo stiamo vivendo un po’ rasserenati perché come noto, il Covid-19 non colpisce i bambini o se lo fa è in forma lieve. Le scuole sono chiuse, quindi i nostri piccoli pazienti si ammalano di meno, non giocando in ambienti esterni è meno facile che incorrano in infortuni. Tuttavia, fin dall’inizio un po’ siamo stati anche noi spettatori di ciò che accadeva e delle primissime notizie che hanno riguardato, in maniera inaspettata, anche il nostro paese.
Possiamo dire, quindi, che la Pediatria è stata giustamente un po’ risparmiata dal virus…
Sicuramente, anche se forse l’ambiente più difficile da affrontare è stato il nido perché quella è l’ area dove nascono i bambini e dove ci sono sia il neonato che l’adulto che è la mamma. C’ è stata dunque la necessità di decidere dei percorsi assieme al primario dell’ostetricia, il dott. Meir per la messa in sicurezza prima di tutto degli operatori che hanno a che fare con il nascituro ma anche del neonato stesso.
Da dove siete partiti?
Posso dire che abbiamo fatto una bella esperienza, studiando molte cose che prima non avremmo preso in considerazione, imparando sulla base di quanto successo in Cina. Abbiamo dunque predisposto dei percorsi che siamo i più razionali e scientifici possibili e messo anche in sicurezza sia persone che accedono all’ ospedale, che sanitari che vi operano.
Cosa è cambiato nella realtà dei fatti?
Ciò che cambia è che se un bambino sospetto infezione da Covid accede al triage, non viene inviato direttamente in Pediatria, viene trattato diversamente da chi si presenta con un trauma che prende la “via pulita” verso la Prediatria-reparto. I potenziali infetti invece si fermano in un’area dedicata e il pediatra scende a visitarli e poi decide cosa fare. Naturalmente il medico si deve vestire in maniera adeguata per proteggersi. Sempre il medico deve svestirsi, lavarsi per bene e solo così può continuare il lavoro in pediatria, un protocollo un po’ complesso ma necessario. Se il bambino sospetto dovesse essere ricoverato viene fatto salire, assieme ai genitori, attraverso un ascensore dedicato fino al sesto piano e lì ricoverato: ci sono tre stanze con filtro, stanze di isolamento dove vi è una infermiera già preparata per casi del genere. Si può entrare solo se bardati con protezione individuale.
Avete avuto ricoveri per Covid-19?
No. fino ad oggi non abbiamo avuto bambini Covid-19 positivi in reparto, sette giovani in età pediatrica a casa in quarantena per precauzione.
Com’ è cambiata la vita in Pediatrica dopo l’esplosione del Covid?
Come nella vita, abbiamo cambiato atteggiamento anche in ospedale con uso di mascherine chirurgiche, siamo molto attenti fra di noi al distanziamento corporeo. Il peso lavorativo in realtà è stato ridotto perché il numero di accessi al pronto soccorso si è ridotto a sua volta in maniera importante. Per esempio da 15/20 visite al giorno, siamo passati a 2/3 al giorno. Ma è un andamento che rispecchia anche il pronto soccorso in generale.
Qual è il motivo principale secondo lei?
I bambini stando a casa si ammalano di meno e adesso si ricorre di più all’automedicazione. Le faccio un esempio: se un bimbo aveva febbre da più di dodici ore, veniva portato al pronto soccorso quasi in automatico. Adesso invece i genitori ci chiamano o interpellano il pediatra di base e tendono a risolvere autonomamente la questione evitando di portare il piccolo all’ospedale, vista l’emergenza sanitaria in corso.
Per quanto riguarda le visite non urgenti come vi siete regolati?
Su ordinanza regionale anche noi abbiamo dovuto sospendere tutte le visite non urgenti come pure tutte le visite di priorità non U o B, quindi l’ attività ambulatoriale non si fa da una decina giorni. Anche se devo dire che a marzo moltissimi genitori hanno disdetto da soli tutte quelle visite in calendario, non così necessarie. Inoltre ho proposto delle consulenze telefoniche per i pazienti allergici in quanto in questo momento c’è il problema della riacutizzazione delle forme allergiche. Abbiamo chiamato i genitori, ma stranamente la cosa non ha avuto molto successo perché su una trentina di chiamate, ad aderire all’iniziativa sono state soltanto cinque famiglie.
Qual è il prossimo step?
Innanzitutto stiamo pensando a come riorganizzare a maggio la riapertura degli ambulatori. Devo dire che sono piuttosto curiosa di capire come le persone risponderanno alla nuova riapertura verso la “normalità”; se saranno prudenti o meno nelle fasi successive al Covid e se torneranno a “intasare” il pronto soccorso, al quale spesso si ha l’abitudine di accedere anche quando si potrebbe attendere il giorno successivo e rivolgersi al medico di base.