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IL GIGANTE DELLA NANOMEDICINA

 

Incontro con il prof. Mauro Ferrari, da 40 anni negli U.S.A., padre della ricerca scientifica sulla nanomedicina applicata alla cura dei tumori. Una missione intrapresa dopo la prematura scomparsa della moglie, sconfitta giovanissima da un cancro. “Trasformare il proprio dolore in qualcosa di buono per gli altri è il motivo conduttore della mia vita”

“Trasformare il proprio dolore in qualcosa di buono per gli altri è il motivo conduttore della mia vita.” Chi lo dice è il professor Mauro Ferrari, nato a Padova ma di fatto cresciuto (e anche tanto: è alto 1 metro e 92 e ha giocato a basket) in Friuli, da quasi 40 anni negli Stati Uniti dove ha costruito una brillante e prestigiosa carriera da ricercatore, docente universitario, imprenditore e dirigente dei maggiori ospedali e istituti americani di ricerca contro i tumori. È infatti considerato il padre della ricerca scientifica sulla nanomedicina applicata alla cura del cancro. La medicina non era la materia originaria della sua formazione. Da giovane il prof. Ferrari si è infatti laureato in Matematica a Padova, quindi nel 1987 si è trasferito negli U.S.A. dopo aver vinto una borsa di studio per il Master e il Ph.D. (dottorato) in Ingegneria Meccanica alla University of California di Berkeley, l’ateneo dove ha anche ottenuto la sua prima cattedra come docente di Ingegneria dei Materiali e Ingegneria Civile. Poi la tragedia che è stata la svolta della sua vita: la prematura morte della moglie Marialuisa, sconfitta da un cancro a soli 32 anni. Rimasto solo con tre figli piccoli, Mauro Ferrari si è trasformato in un pioniere, dedicando ogni suo sforzo alla ricerca contro il cancro, in particolare contro le metastasi al polmone e al fegato, e gettando le basi di una disciplina che ha messo a frutto le sue conoscenze sulle nanotecnologie e che prima di allora non c’era: la nanomedicina.

È il mondo dell’“infinitamente piccolo” che si propone di agire contro il male del secolo e che per il docente e ricercatore italiano in U.S.A. rappresenta “la sfida della vita”.

Ma cosa sono, in sostanza, le nanomedicine? Si tratta di nanoparticelle che possono veicolare i farmaci anticancro in modo mirato e selettivamente efficace nelle cellule tumorali superandone le barriere con la tecnica, come spiega lo scienziato in parole semplici, del “Cavallo di Troia”. La notizia importante è che grazie a una cordata di investitori formata da un gruppo italiano e da un venture capital californiano, il farmaco anticancro nano-veicolato ML-016 per la cura delle metastasi polmonari e epatiche, prodotto grazie alle ricerche del team dei prof. Ferrari, potrebbe finalmente entrare in clinica nel giro di un anno. Il rovescio della medaglia è costituito dal fatto che per arrivare a un risultato clinicamente applicabile nella terapia del tumore metastatico ci sono voluti 29 anni di ricerche, accompagnati anche da diversi fallimenti, accanto a una lunga sequenza di porte bussate inutilmente nelle stanze dei potenziali investitori.

Questo e tanto altro ancora viene raccontato nel brillante e sorprendente libro “Infinitamente piccolo Infinitamente grande” (sottotitolo: “io, la nanomedicina e la vita intorno”), scritto dal professor Ferrari ed edito da Mondadori, in cui il docente e ricercatore racconta la sua incredibile storia di scienziato e di uomo. 

È il motivo per cui mi incontro con lui, alla libreria La Bassanese di Bassano del Grappa, dove conduco un’intervista con l’autore davanti al pubblico in occasione proprio dell’uscita del suo libro. Cordiale, disponibile, alla mano, sempre aperto alla conoscenza di nuove persone e a mettersi alla pari con loro: Mauro Ferrari demolisce il luogo comune dello scienziato rinchiuso nella sua torre d’avorio, preso solo dai suoi numeri e dalle sue formule e restio a “ mescolarsi” con il mondo esterno. Eppure il suo curriculum è impressionante.

Professore ordinario di Ingegneria Meccanica e di Medicina Interna a Berkeley, poi direttore del dipartimento di Ingegneria Biomedica alla Ohio State University. Contemporaneamente studia medicina e collabora con il National Cancer Institute a Bethesda, dove dirige il lancio del programma federale U.S.A. di nanotecnologia applicata al cancro, con un investimento superiore al miliardo di dollari. Nel 2006 si trasferisce in Texas, dove è professore ordinario di Medicina Interna e direttore del dipartimento di Nanomedicina alla University of Texas di Houston, dove ottiene anche la cattedra in Terapie Sperimentali. Per dieci anni assume quindi l’incarico di presidente e amministratore delegato del prestigioso Methodist Hospital Research Institute di Houston.

Attualmente, tra le altre cose, è presidente e amministratore delegato di BrYet Pharma e professore di Scienze Farmaceutiche all’Università di Washington. Conta 60 brevetti a suo nome e oltre 500 pubblicazioni su riviste internazionali.

Talmente alto è il suo prestigio scientifico che  nel gennaio 2020 era stato nominato dalla Commissione Europea alla presidenza dell’ERC, il Consiglio Europeo di Ricerca. Presidenza durata per soli tre mesi. A marzo 2020 ha sbattuto la porta e se ne è andato via, in rotta di collisione con Bruxelles per la gestione dell’emergenza Covid.

La vicenda è finita sulle prime pagine dei quotidiani nazionali, ma a Bassano il professore rivela un retroscena inedito. Quello del suo carteggio con la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen, che all’arrivo in Europa del Coronavirus, come da suo messaggio email, “non sapeva che pesci pigliare”. Il presidente dell’ERC le ha quindi presentato un programma scientifico speciale di intervento basato su un approccio multidisciplinare di contrasto al virus. “Va bene, ora lo trasmetto ai miei cardinali e ai miei vescovi”, gli ha risposto la von der Leyen, riferendosi ai funzionari di Bruxelles. Ma è a questo punto che il piano si è arenato: era infatti inconcepibile, per il Consiglio scientifico dell’ERC, spalmare le risorse in modo diverso dovendo invece garantire i finanziamenti europei alle singole branche scientifiche, separate tra di loro. Risultato finale: dimissioni immediate del presidente Ferrari, senza se e senza ma. Sarà anche una persona affabile e spiritosa, ma i suoi principi sono inalienabili.

Per Mauro Ferrari “conoscenza, motivazione e amore” sono le tre colonne portanti della scienza. Nessuno dei tre concetti può fare a meno degli altri due. Sportivo e anche musicista (suonatore di sax), il padre della nanomedicina applicata alla lotta contro i tumori paragona la ricerca contro il cancro a una partita di basket. Lo ha fatto quella volta che ha dovuto fare un discorso a dei giocatori dell’NBA, la lega statunitense di pallacanestro.

“Ho detto loro – riferisce – che la ricerca sul cancro è come una partita di basket, ma con alcune differenze. La prima è che sei sempre 30 punti sotto l’avversario, il che non significa che tu non possa vincere, ma se a un certo punto pensi di non farcela e vuoi mollare allora è meglio che cambi mestiere. La seconda è che un incontro di basket dura 48 minuti, mentre io da trent’anni gioco la stessa partita perché da quando nasce un’idea scientifica a quando questa idea si traduce in un farmaco passano mediamente dai 15 ai 20 anni. Infine le partite giocate in una stagione di campionato sono più di 80, mentre nel mio lavoro ne hai una sola e dura tutta la vita.”

Oggi il prof. Ferrari è considerato una delle massime autorità mondiali nel campo della nanomedicina.

Ma ricorda quando trent’anni fa ha iniziato a costruire in laboratorio nanoparticelle che trasportavano i farmaci e tutti lo guardavano come un extraterrestre.

Poi, nei primi anni 2000, l’universo “nano” ha cominciato a fare presa e nel 2003 ha avuto l’incarico di coordinare il primo programma U.S.A. di nanomedicina applicata al cancro.

Lo scienziato rimarca che oggi esistono dozzine di farmaci anticancro e oltre 120 sperimentazioni cliniche con nanoparticelle: la strada, dunque, è tracciata. Ma ricorda anche come la nanomedicina sia stata una componente necessaria dei vaccini a Rna messaggero contro il Covid-19. “La virologia – ha dichiarato – è fondamentale per capire come si diffonde il virus, ma la soluzione è venuta dalle nanotecnologie.”

Infinitamente piccolo, infinitamente chiaro. 

Alessandro Tich

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