
“MIRACOLO” A VICENZA
Straordinario intervento del dr. Fabio Chiarenza, primario di Chirurgia Pediatrica dell’Ospedale San Bortolo, su un bambino di poco più di un mese affetto da una grave malformazione dell’esofago.
In medicina e in chirurgia, a volte, i “miracoli” accadono. Non per grazia ricevuta, ma per l’impegno, la dedizione e la competenza professionale di grandi specialisti.
Lo specialista che ha reso possibile il lieto fine di questa storia è il dottor Fabio Chiarenza, luminare della Chirurgia Pediatrica e direttore del reparto di Chirurgia Pediatrica dell’Ospedale San Bortolo di Vicenza.
La storia che vi raccontiamo è quella di un bambino di appena un mese e mezzo, nato con una “interruzione” dell’esofago e cioè con l’esofago separato in due distinti monconi, distanti l’uno dall’altro, che impedivano al piccolo di nutrirsi. Un caso disperato provocato da una grave anomalia congenita che, dopo un primo intervento al Policlinico di Modena, è stato risolto dal dr. Chiarenza grazie a un intervento chirurgico con procedure mininvasive che, senza praticare tagli ma utilizzando dei micro-strumenti controllati via monitor e inseriti attraverso due piccoli fori nel torace, hanno ricomposto l’esofago del neonato. Un intervento straordinario, per la complessità della malformazione presentata dal piccolo paziente, che il primario ci racconta e ci spiega con parole semplici.
“Il bambino – riferisce il dr. Chiarenza – aveva appena un mese e mezzo ed è figlio di una coppia italo-scozzese: il papà è scozzese e la mamma è italiana di Reggio Emilia. Il piccolo era nato con una grave malformazione all’esofago. Gli mancava cioè una parte di esofago, la parte distale dell’esofago era attaccata alla trachea e il bambino non poteva mangiare. Questa malattia è conosciuta tra i chirurghi pediatrici come atresia esofagea. La particolarità di questa patologia è che a volte presenta delle forme molto difficili da mettere a posto. Ci sono cioè delle forme di atresia esofagea nelle quali i pezzi di esofago sono così tanto distanti che non si riescono ad attaccare. In quel caso, per far vivere il bambino, si stacca l’esofago dalla trachea e si compie una cosiddetta “gastrostomia”: si fa un buco sullo stomaco e il bambino si alimenta attraverso un tubicino. Nell’approccio chirurgico tradizionale, quando si fa un intervento di ricomposizione di questa malformazione si taglia sul torace, si devono allargare le costole, bisogna quindi spostare il polmone, staccare la parte distale dell’esofago dalle vie aeree e poi attaccare i due pezzetti di esofago, così che il bambino possa mangiare.”
La malformazione del piccolo, nato a Reggio Emilia, era di particolare gravità. Operato per 10 ore al Policlinico di Modena quando era appena al quarto giorno di vita, il neonato presentava un quadro anatomico assai più complesso di quanto normalmente si riscontra nei casi di atresia dell’esofago. Pertanto i chirurghi non hanno potuto ricomporre la malformazione, ma hanno comunque messo in sicurezza il bambino effettuando la gastrostomia e permettendogli così di alimentarsi con il tubicino sullo stomaco. Il piccolo è stato affidato al reparto dei Neonatologia di Modena, ma restava aperta la questione di come risolvere definitivamente il suo grave problema.
“I genitori si sono informati molto bene e si sono rivolti a vari ospedali pediatrici, sia in Italia che all’estero – racconta il primario della Chirurgia Pediatrica del San Bortolo -. Era stato prospettato loro di sostituire il pezzo mancante dell’esofago del piccolo con un pezzo di intestino, un approccio che però ha una serie di complicanze a distanza. Dopo tutti questi giri i chirurghi di Modena, che mi conoscono, hanno proposto ai genitori: “andare a sentire il dottor Chiarenza”. Proprio in quei giorni io ero a Modena, li ho incontrati e ho spiegato loro cosa si poteva fare, non solo senza taglio con la chirurgia mininvasiva, ma anche per il tentativo di riallacciare l’esofago. Ho operato quindi il bambino a Vicenza, perché per questo intervento volevo tutto il mio team, dagli strumentisti agli anestesisti, eccetera. E siamo riusciti a risolvere la malformazione e ad attaccare con tecniche innovative i due pezzetti di esofago. Adesso il bambino ha il suo esofago e mangia per bocca. Manca ancora da completare l’opera chiudendo il tubicino dallo stomaco, ma il bambino mangia, è bello e sta bene. Non si può spiegare a parole la gratitudine e la felicità dei genitori e la gioia che questo bambino ha dato a me, di andare avanti nel lavoro. Il papà, che è di una famiglia scozzese importante, mi ha regalato un whisky dalla Scozia e una tazza con l’effigie del suo clan, facendomi diventare un membro “onorario” della sua famiglia. Sono grandi soddisfazioni.
È stata una storia a lieto fine.
Ce ne vogliono,
per loro e anche per noi.”