Caterina ZarpellonIl dottor Alessandro Burlina, primario del reparto di Neurologia del San Bassiano, descrive storia, sintomi e cure del Parkinson
Il primo a descriverla, nel 1817 fu James Parkinson, chela definì “paralisi agitante”. Interessa principalmente le strutture profonde del cervello, quelle deputate ad avviare i movimenti del corpo e a controllarne l’esecuzione. Sconosciuta prima dell’era industriale, oggi la malattia di Parkinson è una delle patologie degenerative più diffuse.
”L’esordio della malattia può essere difficile da riconoscere – spiega il dott. Alessandro Burlina, primario del reparto di Neurologia dell’ospedale San Bassiano – : i sintomi principali e più noti sono però proprio legati al movimento; pensiamo al “tremore a riposo”, ovvero alla mano che, appoggiata sul ginocchio mentre si è seduti, trema “da sola”, alla bradicinesia, cioè all’esecuzione rallentata dei movimenti, che di solito è accompagnata da una ridotta mimica facciale (i familiari riferiscono che il paziente non sembra più essere in grado di sorridere). Sono tutti segni caratteristici del morbo di Parkinson”.
Con che frequenza si manifesta?“La malattia di Parkinson è diffusa in tutte le regioni del mondo. La media è di 360 casi per 100 000 abitanti e tra i malati si annoverano anche personaggi celebri, come il pugile Muhammad Alì (Cassius Clay), Adolf Hitler, Francisco Franco, Mao Tse Tung e l’attore Michael J. Fox”.
Esistono aree geografiche più interessate di altre da questo tipo di patologia?
“Non vi sono, in realtà, differenze importanti tra le popolazioni dei vari continenti; certamente la malattia di Parkinson è prevalente negli Stati Uniti rispetto ai paesi africani o alla Cina, ma ciò può dipendere anche dal grado di accuratezza diagnostica e dalle strutture mediche a disposizione in uno Stato piuttosto che in un altro”.
Colpisce di più i maschi o le donne? E’ una malattia della vecchiaia o può interessare anche persone giovani?
“Alcuni studi indicano una lieve prevalenza tra gli uomini, ma non tale da far parlare di una malattia tipicamente maschile. Sicuramente si tratta di una patologia legata all’età, con un incremento di casi dopo i 50 anni, e un aumento ancor più rilevante dopo i 60 anni; sono invece da considerarsi sindromi parkinsoniane a carattere ereditario quelle che colpiscono i pazienti al di sotto dei 40 anni. E’ il caso, ad esempio, di Sergey Brin, cofondatore di Google, il quale ha ereditato dalla madre parkinsoniana una mutazione sul gene LRRK2 collegato alla malattia di Parkinson. Va sottolineato che il riscontro di una mutazione genetica non comporta automaticamente l’insorgenza della malattia”.
L’Unità di Neurologia dell’ospedale San Bassiano ha un ambulatorio, gestito dal dottor Lorenzo Bragagnolo, dedicato proprio alla malattia di Parkinson. Quanti sono i malati nel territorio dell’Ulss 3?
“Attualmente sono circa 200 i pazienti seguiti con regolarità al San Bassiano ed altri 40 sono seguiti nell’ambulatorio neurologico dell’ospedale di Asiago. Dato che l’incidenza della malattia è di 18 casi per 100mila abitanti all’anno, nella nostra zona possiamo aspettarci 18-19 nuovi casi all’anno”.
Si conoscono le cause?
“Una particolare struttura del cervello, chiamata sostanza nera (dalla sua colorazione al tavolo anatomico) è la principale struttura coinvolta nella malattia. La perdita dei neuroni in essa contenuti comporta infatti disfunzioni nella comunicazione cellulare e lo scarso funzionamento dei circuiti deputati all’esecuzione ed al controllo dei movimenti è determinante nello sviluppo e nel progredire della malattia. Il morbo di Parkinson è probabilmente dovuto a molti e diversi fattori. Non sono state individuate con certezza sostanze tossiche che possano favorirne l’insorgenza, ma alcuni studi sostengono che vi è un rischio maggiore in persone esposte a particolari pesticidi od importanti traumi cranici (sarebbe l’ipotesi invocata nel caso del pugile Cassius Clay). Negli anni ’80 in California si era diffusa una droga contenente un composto, la cui sigla è MPTP, in grado di causare il morbo di Parkinson negli esseri umani e nelle scimmie”.
Come si capisce se si è malati? Come avviene la diagnosi?
“Dicevamo che alcuni segni della malattia, come il tremore e il rallentamento dei movimenti, possono essere già notati dal paziente o da chi gli sta vicino. Altre volte è necessario consultare un medico. E’ importante sottoporsi ad una visita neurologica, andare a ricercare tali disturbi colloquiando con il paziente (raccogliendo la storia clinica in modo accurato) ed eseguendo specifiche manovre atte ad evidenziare una disfunzione motoria magari inizialmente non rilevante. Non va dimenticato che la malattia di Parkinson è una malattia che si sviluppa gradualmente, perciò all’inizio può essere presente, ad esempio, solo il tremore ad una mano, in genere in un solo lato del corpo, poi possono svilupparsi altri segni, come la deambulazione rallentata, la rigidità degli arti o l’instabilità posturale”.
Il Parkinson può sfociare anche in forme di demenza o dà solo un’invalidità di tipo fisico?
“Nella fase iniziale non vi sono in genere disturbi della sfera cognitiva. Col tempo può comparire una bradifrenia, cioè un rallentamento dei processi ideativi che può sfociare – nel 30 per cento dei casi – in una vera demenza. Anche i disturbi dell’umore, del sonno e delle funzioni del sistema autonomico (ipotensione arteriosa quando ci si alza in piedi, urgenze minzionali, costipazione, impotenza) sono frequenti, particolarmente negli stadi avanzati della malattia”.
Abbiamo detto che il Parkinson è una malattia degenerativa, dalla quale, al momento, non si può guarire. Oggi però la scienza medica mette a disposizione delle terapie che mitigano o controllano gli effetti del morbo e ne rallentano l’avanzata…
“Il cervello ha degli ottimi meccanismi di compenso e la malattia non esordisce clinicamente fino ad un determinato valore soglia oltre il quale la dopamina, neurotrasmettitore usato per comunicare tra la sostanza nera ed i gangli della base del cervello, diventa insufficiente per permettere un’adeguata comunicazione di informazioni tra le strutture cerebrali coinvolte. La terapia farmacologica si basa sulla possibilità di fornire dall’esterno, con differenti sostanze, precursori o analoghi della dopamina, il neurotrasmettitore mancante. Poi vi sono altri farmaci che hanno lo scopo di proteggere le cellule nervose e quindi impedire un’ ulteriore perdita di dopamina”.
Si può intervenire anche chirurgicamente?
“Negli stadi avanzati della malattia il tremore può essere molto invalidante, al punto da compromettere le attività della vita quotidiana. In questi casi la terapia farmacologica risulta poco efficace e l’intervento neurochirurgico (DBS, Deep Brain Stimulation, ovvero stimolazione cerebrale profonda) è sicuramente una valida alternativa. In pratica, consiste nel “silenziare” una della strutture del cervello che, scaricando in eccesso, induce il tremore anomalo della mano”.
Oltre alle medicine, esistono delle attività fisiche che possono offrire benefici ai malati?
“A supporto alla terapia farmacologica si possono mettere in atto delle terapie fisiche che aiutano il paziente a riprogrammare l’esecuzione dei movimenti e a migliorare equilibrio e postura. Queste forme di terapia, incentrate sulla musica e sulla danza, possono migliorare notevolmente la qualità di vita dei malati. Quest’anno, a maggio, grazie ad un’iniziativa fortemente voluta da Csc Casa della Danza, con il patrocinio del comune di Bassano, si è tenuto un corso di terapia con la danza coordinato da esperti europei. I pazienti che hanno partecipato assieme ai nostri infermieri di supporto, e noi medici siamo rimasti entusiasti. Ed anche per noi è stata un’esperienza importante”.