Chiara BonanIntervista al dottor Angelo Ramondo, primario di Cardiologia Ulss 3 Bassano del Grappa
La fibrillazione atriale è l’anomalia del ritmo cardiaco più diffusa al mondo: la percezione di una variazione del battito cardiaco improvvisa e non controllata, con o senza disagio evidente, è uno tra i disturbi più frequentemente riportati e colpisce l’1-2% degli adulti.
Non sempre il sintomo è grave, ma c’è un dato che non deve sfuggire: la fibrillazione atriale è responsabile di circa il 15% di tutti gli ictus, e questi ultimi rappresentano la terza causa di morte dopo le patologie cardiovascolari e i tumori.
Il dottor Angelo Ramondo, primario della Cardiologia del San Bassiano, ci spiega le due strade della prevenzione del rischio cardioembolico: la classica terapia anticoagulante e, nei pazienti incompatibili con tale cura, l’intervento di chiusura di una piccola parte dell’atrio sinistro del cuore, detta auricola sinistra. E’ lì, infatti, che si forma la maggior parte dei trombi che possono, migrando, causare l’ictus.
Partendo dalle basi, dottore, ci spiega cos’è il rischio cardioembolico?
“Il rischio cardioembolico è il rischio di comparsa di un embolo cerebrale la cui causa è di origine cardiaca”.
Quali sono i sintomi della fibrillazione atriale?
“In genere i sintomi sono modesti e legati all’aumento della frequenza cardiaca, con palpitazioni, senso di stanchezza, mancanza di respiro, affanno, dolore toracico e cardiopalmo. La fibrillazione atriale è una malattia benigna, che però costituisce un fattore di rischio per l’embolia cerebrale. L’aritmia comporta infatti la formazione di trombi (grumi di sangue) all’interno dell’atrio sinistro del cuore, e in particolare, come è stato dimostrato da studi anatomo-patologici, nel 90% dei casi all’interno di un’appendice di questa struttura, l’auricola sinistra. Il trombo può poi muoversi e arrivare in vari distretti, tra cui il sistema nervoso centrale e dunque il cervello”.
Quali sono i pazienti a rischio?
“In Italia sono circa 500mila i pazienti che soffrono di fibrillazione atriale, ma si prevede un raddoppio entro il 2050: essendo un’aritmia che colpisce soprattutto le persone anziane, l’incidenza aumenta di pari passo con l’innalzarsi della durata della vita nella popolazione. L’ictus ischemico attribuibile alla fibrillazione atriale non valvolare, poi, ha un’incidenza del 5% nei pazienti intorno ai 60 anni e del 35% dopo gli 80”.
Quanto è importante intensificare la prevenzione contro questa tipologia di ictus?
“Da un punto di vista socio economico un ictus cerebrale rappresenta un grosso problema sia per il paziente sia per la società: per questo è importante che la prevenzione sia fatta nel miglior modo possibile, compatibilmente con le possibilità terapeutiche che ogni singolo paziente può adottare”. Come si previene?
“La prevenzione del rischio cardioembolico si attua con dei farmaci anticoagulanti:questa è la terapia d’elezione, e abitualmente è ben tollerata, ma nei pazienti anziani, in presenza di altre patologie, il farmaco usato aumenta il rischio di emorragie soprattutto nel sistema gastrointestinale o cerebrale. L’assunzione di questi farmaci richiede un controllo costante dei parametri della coagulazione, che può diventare un problema in alcune categorie di pazienti. Pur riducendo del 64% il rischio di ictus, esiste un 45% dei pazienti a rischio che non segue la terapia e un 38% che la sospende”.
Per tutti coloro che non possono seguire la terapia esiste un’alternativa?
“Chi presenta una controindicazione alla terapia anticoagulante perché affetto da ulcera peptica, ipertensione non controllata, embolie pregresse, aneurismi, malattie della coagulazione, problemi al fegato o ai reni, può essere candidato alla chiusura dell’auricola sinistra. L’operazione avviene sotto sedazione, attraverso un sistema percutaneo: tramite un catetere introdotto da una vena della gamba si arriva a tappare l’auricola”.
La tecnica è in uso al San Bassiano?
“E’ una tecnica relativamente nuova, che noi già applichiamo da alcuni anni. I risultati sono molto buoni in termini di prevenzione delle recidive di ictus in chi l’ha già avuto o nei pazienti che non possono, per i motivi suddetti, affidarsi alla terapia orale”: