
MALATI ONCOLOGICI: PER LORO, PERCORSI PERSONALIZZATI
Intervista al Prof. Pierfranco Conte Direttore della Divisione Medica Oncologica 2 IOV Istituto Oncologico Veneto
Da tempo si sente parlare di cure personalizzate. Questo ci rincuora, perchè il “personalizzato” ci da l’idea che qualcuno si prenda cura di noi, con estremo interesse, partecipazione attiva ed attenzione. No alla standardizzazione, quindi, allo IOV di Padova ma un procedere con meticolosa attenzione, seguendo dei dettami ben precisi. Soprattutto utilizzando farmaci che diventano personalizzati, perchè in grado di lavorare su quelle cellule malate bisognose di essere distrutte, “risparmiando” tutte quelle cellule che lavorano invece in maniera regolare. Ricordiamo, intanto, che ogni anno sono oltre 300mila gli italiani ad ammalarsi di tumore.
Cure personalizzate ai pazienti oncologici. Di che cosa si tratta?
Diciamo che da qualche anno la ricerca farmacologica in oncologia è cambiata. Non è più nella fase della citotossicità dove si cercavano farmaci in grado di uccidere e purtroppo uccidendo, uccidevano non solo le cellule tumorali ma anche una parte di cellule sane, (farmaci chemioterapici). Si cercano, adesso, farmaci a cosiddetto bersaglio molecolare. Riassumendo, non si ricerca più un famaco per la sua capacità di uccidere le cellule ma si ricorre a un farmaco che interagisca con l’ alterazione molecolare specifica prevalente nelle cellule tumorali, rispetto a quelle “normali”, andando a risparmiare le cellule che, appunto, funzionano bene.
La ricerca ha fatto quindi passi notevoli…
Certamente… Queste terapie hanno portato dei vantaggi significativi, purtroppo ancora in una frazione limitata di pazienti. Quello che sta cambiando è che grazie agli avanzamenti tecnologici è possibile, in tempi relativamente brevi e a costi relativamente contenuti, decifrare il genoma di ogni singolo tumore. Ciò che emerge è che tumori apparentemente identici (il tumore del polmone, il tumore della mammella e così via…) mostrano in realtà una propria “impronta digitale specifica”, con interazioni che sono specifiche per ogni singolo tumore. Talora per alcune di queste alterazioni genomiche particolari, sono disponibili sostanze o farmaci magari usati per tutt’altra patologia tumorale, non necessariamente per il polmone o per la mammella. Questi, potrebbero interferire con la specifica alterazione molecolare e quindi si sta sviluppando il cosiddetto concetto di terapie su base molecolare agnostica. Ripeto, non più una terapia per per il tipico trattamento del tumore specifico, esempio al polmone, alla mammella, o alla prostata ma una determinata terapia mirata per una determinata disregolazione genetica
Parliamo ancora delle terapie…
Quanto espresso finora, ha un rovescio della medaglia perchè va a complicare notevolmente le attuali procedure di ricerca clinica e di approvazione dei farmaci. A tutt’oggi, infatti, i farmaci vengono approvati se si “intestano” ad una determinata malattia: il tumore al polmone, il tumore alla mammella, il tumore all’ovaio e così via… In questo caso, alcuni farmaci possono essere approvati anche indipendentemente dal tipo di tumore: possono essere approvati in tutti quei tumori con una determinata alterazione molecolare specifica.
Che tipo di problematica può essere presente in questo caso?
La problematica può derivare dal fatto che queste alterazione molecolari specifiche sono spesso molto rare nei singoli tumori, per cui si impronta uno studio dove si analizzano al suo interno due tumori al fegato, uno al pancreas, un tumore al cervello, tre tumori alla mammella e questo può rendere difficile capire bene l’eventuale farmaco che effetto possa avere rispetto alle terapie tradizionali usate per quel tipo di tumore.
Come procedere in questo caso?
Per questo motivo è necessario che a fronte della ricerca tradizionale con lo studio clinico per l’approvazione di un farmaco, segua poi la possibilità di raccogliere dati derivanti dalla pratica clinica e che confermino irrimediabilmente o eventualmente smentiscano i dati raccolti dalla sperimentazione clinica classica, perché come ripeto, dalla sperimentazione classica possono esserci pochi pazienti con quel determinato tipo di tumore. Nella pratica clinica ovviamente ci potranno essere più pazienti e quindi sarà più importante acquisire dati ed evidenze scientifiche, anche dalla pratica clinica, la cosiddetta “real-world evidence.”
Qual è lo sforzo attuale dello IOV di Padova?
Lo sforzo attuale dello IOV e della ROV (Rete Oncologica veneta) è proprio quello, che è anche uno degli obbiettivi, di riuscire ad acquisire informazioni clinicamente rilevanti e scientificamente solide anche dalla pratica clinica.
Quali sono le maggiori difficoltà nel procedere con questa pratica?
Una difficoltà esiste ed è di tipo tecnico. Partiamo dal fatto che si tratta di raccogliere dati clinici: ci si dovrebbero abituare a trattare i pazienti come se si fosse in uno studio clinico chiedendo ed essendo forniti di informazioni complete di un certo tipo. Paradossalmente ci troviamo di fronte a limitazioni di tipo normativo, perché la legge sulla privacy in Italia purtroppo rende molto difficile questo approccio. Bisognerebbe chiedere un consenso informato ad ogni singolo paziente e usare i dati anche a scopo di ricerca, cosa che normalmente non viene fatto nella pratica clinica. Bisognerebbe che da un lato i pazienti fossero consapevoli dell’importanza di dare il proprio consenso e si rendano partecipi e dall’altro che l’autorità del garante della privacy capisca che ci sono dei valori dal punto di vista scientifico e clinico, superiori al rispetto della privacy. Teniamo presente che spesso quando noi acquistiamo un telefonino siamo pronti a rinunciare ad alcuni dati sulla privacy. Non vedo perchè un paziente non potrebbe fare altrettanto, tenendo presente che comunque i dati verrebbero anonimizzati ma contribuirebbero all’avanzamento della scienza. Sono comunque fiducioso nella massima collaborazione dei pazienti che si sono sempre dimostrati molto collaborativi.