
UCRAINA CHIAMA: OTB RISPONDE
Intervista ad Arianna Alessi vice presidente OTB Foundation
L’emergenza della guerra in corso in Ucraina, ha smosso diverse coscienze, ha allertato numerosissime organizzazioni umanitarie, in una gara di solidarietà. Mai come in questo periodo, la popolazione rutena, soprattutto donne e bambini, hanno beneficiato di aiuto e sostegno. OTB, “Only The Brave Foundation” voluta da Renzo Rosso, si è mossa da subito, attuando tutta una serie di iniziative. Abbiamo avvicinato la vice presidente, Arianna Alessi.
In che direzione si è mossa OTB?
Molti sono stati i nostri interventi umanitari con il covid ma ahimè è arrivata un’altra grossa emergenza che è la guerra. Noi siamo stati contattati sin da inizio marzo da una trentina di associazioni vicentine che collaboravano con aiuti umanitari da Chernobyl, dando ospitalità estiva alla popolazione ucraina: attraverso il nostro sito ed i social abbiamo ricevuto moltissime richieste di intervento, molti sono stati i ricongiungimenti familiari in Italia. Da subito ci siamo attivati per organizzare nove pullman da 55 posti, dal confine ucraino della Polonia per portare in Italia donne e bambini. Il 63% sono minori.
Dove sono stati ospitati?
Alcuni di loro sono stati accolti da famiglie di associazioni collaudate negli anni mentre altri sono stati collocati presso palazzine e appartamenti che abbiamo affittato per l’emergenza. In accordo con la Prefettura gli alloggi sono stati convertiti in Case di accoglienza straordinaria con gli arrivi gestiti dall’Ulss7 per le procedure covid. Prima fermata, al centro vaccinale da noi disposto, all’ex Eurobrico di Bassano che ricordo ha vaccinato oltre centoventimila persone. Oltre al test covid, consegna del tesserino sanitario temporaneo. Devo dire che è stato importante attivare la quarantena presso camere in diversi alberghi, prima dell’inserimento presso le famiglie. E’ stato quindi ripristinato il vecchio ospedale di Asiago proprio per la quarantena.
E’ stato facile trovare alberghi che fungessero da area quarantena?
Per nulla facile, non semplice trovare stanze in alberghi che accettassero di diventare area preposta. Eppure posso dire che mi sono trovata di fronte ad un popolo estremamente dignitoso. Spesso mi è stato chiesto: “Come posso ricambiare?” Noi, a dire il vero, abbiamo fornito tutto, un sacchetto con slip, pigiama, vestiti. Un kit di emergenza, e poi via via che abbiamo capito come procedere, tutto è stato più facile. Oggi le strutture che seguiamo sono gestite dalla Cooperativa Mediterraneo, molto seria e pro attiva nel trovare rapide soluzioni ai bisogni. Anche se ammetto che davvero questi sono “viaggi della speranza” e ci si rende conto di quanto noi, qui, siamo fortunati.
Quindi rimangono con visto turistico?
Si è andati avanti: da visto turistico si è passati a permesso di soggiorno temporaneo, una ventina di persone lavorano presso aziende del nostro gruppo, altre in società amiche che hanno dato la loro disponibilità. Ci sono due creative, una stilista e due amministrative, un paio di operaie che non sanno l’inglese, alcune impegnate e molto brave nella logistica.
Cos’altro avete organizzato per dare loro sostegno?
Abbiamo attivato corsi di italiano due pomeriggi la settimana, i bambini già da tre mesi sono stati inseriti in asili e scuole, attività sportive, e adesso in campi estivi per l’estate. Questa guerra non finirà in pochi mesi. Cerchiamo di dare loro una nuova normalità, convinti che solo attraverso il lavoro si possa avere un’integrazione di lungo periodo e dare dignità alle persone. Alcune donne hanno scelto di rientrate in Ucraina perché è stato ferito o mancato il consorte. Altre perché vivono in zone ad oggi tranquille.
Attualmente quante persone seguite?
Ad oggi sono circa trecentocinquanta, tra quelli in famiglia e quelli in case di accoglienza straordinaria. Con OTB Foundation siamo sempre in contatto e ove possibile supportiamo. Di necessità davvero ce ne sono tante: dall’invio di corriere presso il Consolato ucraino di Milano per i documenti d’identità (molti sono arrivati senza nulla), alle svariate visite mediche e l’inserimenti dei ragazzi in attività sportive.
Torniamo per un attimo a parlare di OTB Foundation e di come è nata…
La fondazione è stata fondata nel 2008 da Renzo con un primo grande progetto in Mali con Bono Vox e altri orientati in Africa. Con il mio arrivo e quello di Laura Mocellin (mia stretta collaboratrice) abbiamo direzionato gli sforzi sia in Italia che in diversi stati nel mondo. Siamo orgogliosi di dire che la nostra Fondazione non ha costi di gestione e ogni euro raccolto va direttamente nelle diverse attività, inserendo nella causale quale progetto da sostenere. Data la nostra dinamicità di reazione, le emergenze sono oggi il primo dei nostri focus insieme a bambini/ragazzi e donne.
Con il terremoto di Amatrice abbiamo costruito un’intera scuola antisismica con palestra in 150 giorni. Col terremoto in Emilia ci siamo arrivati con il micro credito per i piccoli artigiani, bar, ristoranti. E’ stato bello vedere che è rientrato il 95% di quanto prestato una volta ripartiti. Poi è arrivato il covid e ci siamo attivati a fine febbraio 2020 con grandi ordini di DPI mascherine/tute/protezioni e acquisto respiratori Cipap per ospedali, piccoli e grandi, case di riposo, aree convertite ad aree covid. Ma penso anche ai tanti progetti che costantemente seguiamo per facilitare gli inserimenti lavorativi per persone in difficoltà, ai pacchi alimentari, ai centri di ascolto anche telefonico per donne vittime di violenza e giovani in difficoltà, a San Patrignano, ai tanti seminar nelle scuole per la sensibilizzazione sui tanti temi, dal bullismo alla violenza di genere. Tanta prevenzione all’interno nelle aule, webinar on line che hanno raggiunto dai cinquecento ai mille ragazzi ogni settimana, iniziative avviate ormai da cinque anni. Molti i ragazzi che si confidano ed esprimono, ad esempio, disturbi alimentari.
Anche in Afganistan so che siete impegnati da tempo…
Sì, abbiamo salvato molte donne dal regime attuale, cercando di dare supporto appena arrivata la notizia che gli americani se ne sarebbero andati. Sono quattro anni che operiamo a Kabul a favore dell’emancipazione femminile e con l’emergenza ci siamo attivati con altre associazioni per organizzare aerei da Kabul a Kuwait City e poi da lì in Italia donne e le loro famiglie.
Arianna, ci tolga una curiosità: qual è la spinta che la motiva a fare ciò che fa?
Credo fortemente che la spinta di base venga dal fatto di essere figlia di imprenditori e poi veneta. Questa voglia di fare e di aiutare è innata. Culturalmente siamo abituati a lavorare. Come dicevo sono figlia di imprenditori, cresciuta in un’azienda orafa di Bassano, mio padre in cinque fratelli e mio nonno ostinato a non volere femmine in azienda. A nulla è valsa la mia laurea, soltanto cugini maschi approdavano in quella che era l’attività di famiglia. Quindi sono rimasta a Milano dove avevo un bel posto in una banca d’affari con attività di scouting di aziende. Sono passata poi all’interno di uno studio legale e lì mi sono accorta che molti coetanei amici veneti, mi chiamavano per diversi consigli in ambito d’ affari. Quindi ho deciso di mettermi per conto mio, di far diventare tutti quei consigli un vero e proprio lavoro. Bella responsabilità ma anche grandi, grandissime soddisfazioni
E poi accade che un giorno incontra l’Amore…
Esatto! In Sardegna ho conosciuto Renzo: è stato un vero e proprio colpo di fulmine, ho alzato sguardo, me l’hanno presentato (certo sapevo chi fosse ma non lo avevo mai incontrato prima di allora.) Sono rimasta totalmente “folgorata” e ho capito in quell’istante che la cosa è stata reciproca. Un forte, inspiegabile trasporto da parte di entrambi. Tornando al fatto che le porte chiuse nella mia azienda erano aperte invece soltanto per i maschi, devo ringraziare per quella particolare scelta del nonno perché non sarei ciò che sono oggi. Il fatto di lottare ed farmi strada da sola, mi ha permesso di crearmi un bagaglio personale non indifferente.
Che cosa le dà, ciò che fa in Fondazione?
Arrivo alla sera e mi rendo conto di fare la differenza. Il mio principale lavoro è la società di investimenti privata di mio marito a cui affianco la fondazione. Chissà perché ma ho sempre la sensazione di non fare altro che dare indietro ciò che ricevo, ogni giorno. E sapere che ho fatto stare bene anche una sola persona, mi gratifica molto. Sono felice, ad esempio, di aver trovato anche in Diesel Farm, dove produciamo olio e vino, un alloggio per alcune donne e bambini ucraini. Io e mia figlia Sidney, quando possiamo, passiamo del tempo con loro e la mia piccola di sei anni, ha già imparato a guardare nel suo guardaroba e a dire: “Mamma, questo abito per me è piccolo, glielo possiamo regalare?” Ed è in quei momenti che da mamma sorrido, mentre capisco come l’esempio sia davvero il miglior regalo che possiamo lasciare ai nostri figli, quale testamento d’amore.