
VIOLENZA SULLE DONNE: CASI IN CONTINUO AUMENTO.
Intervista a Maria Pia Mainardi presidente dell’associazione QUESTA CITTÀ e responsabile del centro antiviolenza SPAZIO DONNA
Entro nel centro antiviolenza Spazio Donna a Bassano, mi siedo per l’intervista e poco dopo, suona il campanello. Arriva una donna. Pare smarrita, io giro lo sguardo dall’altra parte. Non sono lì per guardare o per giudicare con gli occhi. Sono lì per intervistare un’altra donna, una donna la cui vita è sempre stata improntata su tematiche femminili: Consiglio regionale, Pari Opportunità, Scuola di Politica femminile (Università di Padova), che ha portato ad importanti esperienze all’estero, pubblicazione di diversi libri e molto altro ancora.
Iniziamo parlando di numeri: non è ancora finito l’anno ma com’è l’andamento 2021 sulla violenza sulle donne, dal vostro osservatorio?
Abbiamo superato senz’altro le cifre dello scorso anno perchè i numeri da noi rilevati sono comunque già più alti. Basti pensare che a settembre le chiamate dal pronto soccorso per violenza sulle donne sono state 50, mentre lo scorso anno in totale erano state 53. Quindi, quasi un raddoppio se l’andamento continuasse così. Solo nel mese di giugno, abbiamo avuto 15 chiamate, vale a dire una chiamata ogni due giorni. Era forse il momento in cui si usciva di più, un po’ più di morbidità che ha permesso una maggiore libertà di azione da parte delle donne bisognose di aiuto.
Con il lockdown, com’era la situazione?
Anche per noi del centro è stato un momento davvero molto particolare. Ricordo due chiamate gravi, particolarmente problematiche per quel momento, perché non si sapeva dove poter alloggiare le donne che rischiavano la vita a rimanere a vivere con il proprio compagno/marito. Era tutto chiuso, la casa rifugio non le accettava per paura del contagio… Tuttavia, come prevedibile, le chiamate sono diminuite, mentre dopo il lockdown, si sono rinforzate. Quindi durante la reclusione si sono silenziate tutte: l’attimo dopo, l’esplosione delle richieste d’aiuto, tanto che non sapevamo nemmeno come fissare gli appuntamenti. Una situazione davvero drammatica e assai triste.
Come funziona la richiesta di aiuto e come procedete?
Abbiamo due numeri telefonici a disposizione: sono in realtà due numeri di cellulare, uno è il 366.153.75.85 (funziona dalle 8.30 alle 18.00) e l’altro è un numero di reperibilità riservato a forze dell’ordine e pronto soccorso di Asiago e Bassano. Le forze dell’ordine e pronto soccorso chiamano dicendo che c’è una donna che dichiara di aver subito violenza e ha quindi bisogno di tutta una serie di interventi, di appoggio psicologico. Oppure ricordiamo il numero internazionale 1522.
Una volta presa in carico la donna cosa avviene?
Vengono raccolti i dati base allo scopo di capire in che situazione si sente la donna, il tipo di pericolo che avverte: ovvero quella che chiamiamo “valutazione del rischio”, uno strumento importante per capire se la persona rischia effettivamente la vita. Il metodo di valutazione si chiama SARA (Spousal Assault Risk Assessment) ed è appunto la valutazione del rischio di violenza interpersonale fra partner. Un metodo messo a punto in Canada ma seguìto ormai da diversi paesi, compresa l’Italia. Fatte le prime domande, viene chiesto quali intenzioni ha la donna, viene chiesta la priorità sentita, la cosa più importante da fare in quel momento, il perché si sta rivolgendo alla nostra struttura.
Una volta valutato il rischio, come procedete?
La prima cosa che si deve capire è se la donna è disposta ad andare in casa protezione o ad andare da parenti.
Quante case protezione ci sono nel territorio?
Una nel bassanese, della quale non possiamo assolutamente dire la località altrimenti non sarebbe più protetta. Non ci sono molti posti letto e se vi sono bimbi piccoli è una tragedia. Con le italiane è più facile, o meglio è meno difficile, perchè talvolta fanno rete con parenti o amici. La difficoltà sorge con le staniere che qui in Italia fanno gran fatica a fare rete. E manca la cosiddetta accoglienza parentale proprio per un discorso di distanza fisica.
Al di là della sistemazione, già di per sé importante, che lavoro viene fatto sulla donna?
Viene fatto un lavoro di accompagnamento di presa di consapevolezza, di riflessione sulla situazione che sta vivendo e a volte si indaga sulla storia familiare, al fine di raccogliere informazioni base anche sull’uomo. Non si confonda questo con la mediazione di coppia. Nemmeno ci poniamo domande sulla qualità della genitorialità della donna vittima di violenza. Quella è tutta un’altra questione. Può essere che non sia una buona madre ma non spetta a noi l’indagare questo aspetto. L’unico obbligo dove sono presenti i piccoli, è segnalare per una tutela del minore. Per l’assistenza al maltrattante, invece, vi è un apposito centro a Bassano.
Perchè, secondo lei, si fatica ancora così tanto a vincere sulla violenza di genere e sul femminicidio?
Io credo che il retaggio culturale sbagliato sia ancora molto forte ed influisca su quanto accade in maniera decisa. Si fa ancora molta fatica a capire il rispetto verso la donna e le sue scelte spesso non condivise (separazione etc. etc.). Una donna vittima di violenza non solo deve combattere il proprio uomo ma si trova spesso a combattere con la famiglia di origine che le impone di tacere e di continuare a sopportare. Magari dicendo: “Tutto sommato lui è un buon padre.”
In tutti questi anni si è fatta un’idea di cosa spinge l’uomo a usare violenza sulla donna, arrivando persino ad ammazzarla?
Personalmente credo che per la sua struttura, l’uomo abbia bisogno di esercitare controllo ed avere la sicurezza del possesso. Questi due elementi fanno l’uomo violento. Per fortuna non sono tutti così.
Ma va detto che non si è mai sentito di donne che ammazzano uomini.
E si è fatta l’idea del perchè le donne sono disposte a sopportare?
Direi che non sono “disposte a sopportare”. Non riescono ad uscire dalla violenza con facilità: per educazione siamo state abituate a prenderci cura di tutto e tutti, tranne che di noi stesse. Inoltre, non abbiamo individualità economica e sociale. L’uomo, è risaputo, guadagna di più della donna, esce, ha vita sociale più dinamica. Spesso si hanno dei figli piccoli e risulta estremamente difficile reinserirli in un contesto diverso, perché c’ è anche una componente parentale non sempre d’accordo con la donna e quindi gli stessi parenti non sostengono scelte importanti che spesso potrebbero salvare una vita. C’è ancora tantissima strada da fare, purtroppo.
Vi è mai capitato che una vostra seguita alla fine non ce la faccia? Come ci si sente?
Vede, faccio un passo indietro per spiegarle un punto importante che spesso è il nocciolo della questione. Quando le donne sono convintissime e ci dicono: “Non voglio denunciare” per noi è difficile procedere, come pure per le forze dell’ordine. Magari arrivano in pronto soccorso con ferite lievi. (Precisiamo che nessuno dovrebbe arrivare in pronto soccorso per ferite inflitte da un’altra persona…) La paura di denunciare è sempre elevata e qualche volta il ragionamento della donna riguarda una sorta di salvaguardia dei figli: denuncio il padre dei miei figli… Magari un giorno potrebbero avere difficoltà nella loro carriera, oppure si ha paura fisica, di ritorsioni. E’ capitato, sì, purtroppo un caso di morte: eravamo coinvolte in prima linea, avevamo tentato in tutti i modi di farle capire che rimanendo dov’era rischiava la vita. Fra l’altro le abitava vicina anche la sua famiglia. Quindi tutti fermi finché lei non sporge denuncia. Non l’ha fatto. E’ stato tutto inutile. Adesso certamente non lo può più fare.
Come ci si sente in casi simili?
Impotenti, dispiaciute, frustrate perchè si cerca di fare di tutto ma l’epilogo è proprio quello che non avremmo voluto. E poi ci si affeziona a queste donne vittime di violenza. Come potremmo non amarle?
Che azioni intraprendete per una maggiore sensibilizzazione sull’argomento?
Abbiamo diverse inziative: molta formazione nelle scuole fin dalle elementari, grazie a sussidi regionali che però attualmente non sono più disponibili (l’anno scorso sono state 80 classi, 800 ragazzi delle superiori). Abbiamo continuato l’opera di sensibilizzazione anche in streaming durante il lockdown. Vediamo che i giovani apprezzano molto. Altri eventi hanno investito 200 ragazzi. La sensibilizzazione passa anche attraverso la continua formazione: incontri in streaming anche con professioniste, avvocate esperte in diritto di famiglia, docenti univesitarie per un continuo aggiornamento. Poi organizziamo tutta una serie di incontri ricreativi per le donne che ritrovandosi assieme possono scambiarsi anche le esperienze di vita in un confronto spesso molto, molto costruttivo. Iniziative carine, come la fotografia di generazioni (foto gratuita di nonna mamma e figlia), oppure le passeggiate lungo il Brenta, dove addirittura abbiamo dovuto dire di no a molte aspiranti partecipanti, perchè saremmo state troppe per il numero fissato in precedenza. Molti laboratori, compreso quello di tessitura; insomma si cerca di creare momenti ludici che vadano a formare momenti di aggregazione che, ripeto, sono essenziali per queste donne. Molti sono i comuni con i quali abbiamo fatto rete. Vede, il vero problema, spesso è che le donne maltrattate non si rendono conto pienamente della loro situazione. E poi, i risultati si vedono al pronto soccorso che ci chiama per accorrere in loro aiuto, in quella stanzetta creata apposta per il nostro primo intervento. Stanzetta confortevole, che non sembra proprio essere una stanza di ospedale tanto è accogliente con pareti colorate e mille altri piccoli accorgimenti affinchè la donna si possa sentire protetta e circondata da affetto.
Come nasce il Centro antiviolenza?
Noi ci siamo dal 2007 e abbiamo due diversi protocolli. Siamo partiti nella nostra provincia, con molto volontariato. Nel 2018 la Conferenza dei Sindaci del distretto 1 dell’Ulss 7 ha deciso di considerarci centro a tutti gli effetti e quindi è stato firmato il protocollo con Prefetto, forze dell’ordine, Direttore Generale della Ulss, il sindaco di Bassano. Successivamente, un secondo protocollo con la gestione che è passata all’Uslss e non più sotto direzione della conferenza dei sindaci, per ordine della Regione. In questo protocollo è stato inserito un secondo centro antiviolenza ad Asiago e Roana, ed è entrato anche ARES che è il centro di recupero per i maltrattanti.